A quanto pare è necessario tornare sull’argomento SEO / Social / Google: stavolta il buon Matt Cutts ci fornisce una (mezza) risposta attraverso gli usuali video del canale WebMaster Tools di Google.

Una cosa è certa: i link dal social un’influenza ce l’hanno già. Vuoi più o meno diretta, come ad esempio venire a conoscenza di una pagina, leggerla o linkarla o condividerla a sua volta. E’ il social, anzi è il sociale che funziona così. Forse una tra le massime espressioni di un comportamento umano è quello di adattare il passaparola attraverso il “social”.

Il link, s’è detto, è un consiglio e fino a prova contraria i consigli vivono di passaparola: il gioco è fatto. Uhm, quasi…

Attualmente i risultati in realtime dal social provengono da Facebook e Twitter, andando a finire nel tab “Aggiornamenti” di Google. Questi mostra i risultati in tempo reale di numerosi profili. Il premio lo conferisce a chi riesce a cavalcare l’onda con un profilo autorevole, anche nei risultati organici, attraverso il box con scrollbar di cui s’è già detto e stradetto tutto.

Quello a cui Matt Cutts fà menzione nel video, che vi ripropongo di seguito -in lingua originale-, è di non illudersi che il solo numero dei follower possa bastare a contribuire al “social rank”, perchè innanzitutto Google si sta ancora muovendo verso la direzione di considerare i link nei social, ma perchè in generale non è solo la quantità a determinare la qualità di una risorsa.
Allora mi viene in mente di stilare una serie di fattori, un elenco di cose che a buon senso potrebbero esser considerate in un ipotetico computo dei fattori social che Google potrebbe prendere in considerazione, mutuando concetti dal SEO e concetti dalla vita di tutti i giorni.

1. Quantità vs Qualità: così come ben sappiamo per il link building, non è il numero di link a rendere importante una risorsa linkata, ma la qualità e la spontaneità si ciascun link. Per cui ripassiamo la famosa regola dei 100 link per pagina di Google, ricordiamoci delle proprietà dell’ip che i link devono avere -forse qui il social network di turno deve fare da garante-. Ricordiamoci anche di chi ci linka, che è soggetto a questo stesso giudizio, nella misura in cui tanti fattori possono determinarne la qualità.

2. Contenuti: un sito poco aggiornato è un sito che vale poco. Beh prendete una persona, uno che fa poche così e ha poche esperienze da raccontare  è poco interessante. Allora un profilo social che parla poco, varrà poco. Però attenzione! Mutuando al famoso detto che “chi si fà gli affari propri campa cent’anni” potrebbe anche essere che il parlare poco/molto sia valutato in termini di gradimenti su post ricevuti. Tanto più quello che uno dice è condivisibile e giusto, tanto più quella è una fonte autorevole socialmente. Beh qualcuno direbbe: l’arte di accontentare tutti sarà l’arma migliore. Può darsi.

3. Linguaggio: sicuramente la lingua usata avrà un peso nei link in uscita da un profilo social. Difficilmente, ad esempio, potrei fidarmi di una persona che abita a 2000 km da me quando questa mi consiglia una pizzeria dietro casa mia piuttosto che un’altra. A meno che non sia un mago di Google Maps 😛
Così come espressioni più ricercate o più giovanili saranno un fattore determinate per stabilire un target demografico dei link in uscita che se rispettato sarà una risorsa utile, altrimenti poco credibile.

4. Fenomeno dei pianisti: beh credo che sarà più difficile falsare certi risultati di gradimento (aka link spontanei) se veramente il social fosse uno dei fattori di ranking dei siti. Vorrei vedervi ad impazzire dietro a 7.000 indirizzi email, altrettanti profili Facebook e Twitter, Flickr, Youtube, a ricondividere e ripostare un singolo link, rispetto alle famose matrici di link, network creati ad arte o script che spammano i template wordpress, tutt’ora in voga e usati da grandi e piccini. Un like è un voto, è un’ammissione di gradimento e coscienza di ciò che ci piace e che consigliamo. Un pò com’è successo per certi profili Facebook che inneggiavano ad azioni illecite contro questo o quel personaggio politico, l’azione del Like indica una ben precisa scelta. Su questo credo si possa discutere ben poco.

5. Quanto vale Facebook rispetto a Twitter? Beh sicuramente si cercherà di stilare una classifica su quale social porterà più social-rank dell’altro. Voglio sperare, e credere, che sarà l’azione a valere non la piattaforma. La meta azione di gradimento ad avere un peso, si chiami essa Like, ReTweet o Cicciopasticcio. E’ così che dovrà funzionare se avrà un senso algoritmico all’interno di Google.

6. Profondità: secondo me Google tenterà di capire quant’è profonda la nostra influenza. Può capirlo già da una banale serie di fattori, spazio temporali. Innanzitutto può creare delle statistiche nel tempo della nostra attività e del seguito che abbiamo. Ma può anche capire se veramente con “7 retweet raggiungiamo il papa”, così come recita una scommessa nazional-popolare. In questo cercherà di capire quanto in profondità e a lungo riusciremo ad influenzare la massa, anzi la nostra massa = il nostro seguito. Creerà sicuramente un grafo pesato delle nostre connessioni, dove sarà in grado di predire quanto il nostro verbo che ha un voto X riuscirà ad arrivare in profondità e quanto di quell’X rimarrà a fine corsa. Questo grafo avrà anche un’altra dimensione, che è la geolocalizzazione. Quindi la profondità può essere interpretata come: dove influisco, come e per quanto tempo. Un nostro link quindi sarà filtrato sulla base di questi concetti.

7. Reputazione: diciamo che la reputazione passa anche attraverso ciò che si dice di noi in giro. Allora ecco che sicuramente Google cercherà di individuare nel nostro profilo o username un brand da monitorare. Quindi fare una stima sulla qualità della nostra profondità e vedere se nel tempo espressioni felici o infelici accompagnano il nostro parlare a gran voce al pubblico social. Quanto si propagano le nostre fesserie e quanto si propagano invece le nostre intuizioni. Richiamo il concetto di profondità nel propagarsi di ciò, per dire che la reputazione potrebbe passare attraverso un probabile ranking di parole positive o negative dette su di noi.
E dove se non nel social, nella società la buona reputazione vale più di ogni altra cosa.
Diciamoci la verità ci sono grandi professionisti che alle volte scrivono cose veramente infantili, o si prendono il lusso di ricopiare cose senza citare la fonte. Chissà, se come per il TrustRank, anche in questo caso è la fonte a fare la notizia e non il vero padre. Se attraverso la reputazione social e il concetto di profondità si perderà ancora una volta la paternità di certe azioni e di certi link.

8. La macchia: è quel luogo virtuale attraverso il quale si espande la nostra social influence. Credo che la crossmedialità in quanto tale, e non solo riconoscibilità e presenza diffusa del brand, sarà un fattore importante. Sarà quindi un mettersi alla prova con discipline svariate, se non artistiche. Chissà se attraverso il social un brand legato al mondo della pittura, ad esempio un ecommerce di quadri, non venga penalizzato perchè non corredato da una buona e attiva presenza su YouTube e su Flickr? O il sito web di un musicista riguardo la presenza su Vimeo, Last.fm o MySpace.com? (Quest’ultimo… il caro estinto).

9. Partecipazione: dovremo dimostrare di essere vivi, ed avere vita attorno a noi. Ecco perchè il modello quantitativo decade ancor più fortemente. E ancor più fortemente si stringeranno i legami tra gli utenti, tanto più sarà forte il legame e maggiore sarà la reputazione dei profili e più densa la loro discussione. Credo verranno stilate delle intersezioni tra i grafi degli utenti e delle loro conversazioni e dei comparatori di profondità per stilare una classifica dell’influenza. Se esisti devi dimostrarlo, devi essere attivo. Dopotutto non è quello che si è fatto con un blog o con un forum? Ora si chiama social.

Ogni profilo utente di un singolo brand, porterà con sè un grafo di connessioni ognuno con la propria storia, le proprie caratteristiche e il proprio percorso in gran parte segnato dalla propria attività. Sembra un discorso poetico se consideriamo le persone che stanno dietro ai nodi dei grafi e che quindi si prefigura uno scenario dove è la qualità umana a prevalere sul mezzo e non una preparazione tecnica. Sarà veramente così? Saranno questi i concetti chiave di una considerazione dei dati social nel cuore dell’algoritmo di Google? Lui, il sommo, il primo ed unico player della ricerca che nelle ultime battute ha anche azzardato la pretesa di sapere prima di noi quello che volevamo cercare e magari c’è anche riuscito?

Altri l’hanno fatto (si chiama Blekko) o lo stanno facendo (si chiama Bing), ed in gioco non c’è solo l’esperienza utente, ma un’Era. Forse il passaggio da un web più freddo ad un web più umano.

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